Palermo: Perdendosi al Capo. di Angelica Vignieri
Decido di uscire, senza meta, come sono solita fare quando non mi trovo.
Irrequieta, come se la strada impertinente mi chiamasse a sé, tirandomi per i capelli. Perché Palermo è così, tentacolare.
Se sei fortunato ti concede il suo tempo e si racconta, e mentre ti perdi tra i vicoli e la gente Lei ti sussurra la sua storia.
Cammino per ore e devo avere uno sguardo spaesato perché mi sento urlare da un ragazzino in bicicletta “viri ca si ‘O Capu!”, un po’ come quando la vita ti dà delle risposte ma tu non le stai cercando. Perché in realtà, in questo momento, non mi importa dove sono. Voglio perdermi e basta, sentire il rumore dei miei passi sulle balàte umide del mercato ormai vuoto e godere del silenzio di una città che si ricompone modesta al tramonto.
Sono strade senza tempo con gente senza tempo in case sventrate dallo stesso tempo che ha saputo mescolare il folklore con la decadenza e l’eleganza, la ricchezza con la povertà. E modesto si presenta lo zio Mimmo che con quella Palermo ci è nato, ci ha fatto la guerra e continua a viverci, orgoglioso, da settantadue anni; in una casa che non è una casa, ma è la sua casa: quattro mura cariche di cianfrusaglie, quadri, fotografie di almeno quattro generazioni, santi e santini, ricordi di ogni genere e perché no, oggetti raccattati per strada, ma scelti con cura, perché lo zio Mimmo non fa mancare nulla alla sua famiglia.
È lì, davanti la porta di casa sua e scruta me che lo guardo incuriosita tanto quanto lui. Ci presentiamo, così, senza pensarci troppo. Ha voglia di raccontarsi lo zio Mimmo ed io di ascoltarlo.
Come un nonno racconta con enfasi i tempi duri del dopoguerra in cui ci si saziava con un po’ di pane “cu pummaruoru” o con la buccia bollita delle fave per avere l’illusione di mangiare fagiolina.
Si è accontentato lui, non perché non avesse scelta ma per forte senso di appartenenza, perché vuole essere uno degli ultimi della Palermo vecchia e vera.È rimasto lì lo zio Mimmo e lì vuole morire. “Chi si allontana dalla sua propria zona dov’è nato è pentito!”, dice.
Non so perché ma ci avrei scommesso!
Discutibile sì, ma coerente, perché lui a quella casa e a quella strada è rimasto aggrappato con le unghie e con i denti ed è la casa stessa a parlare di lui che ne ha viste tante e che si lascia cullare dai tentacoli di una città che ha ancora molto da raccontare.
Come un’amica o una confidente che a volte si smarrisce e si ritrova, proprio come me.
Vado via da lì con la promessa che tornerò a trovarlo. Ma questa è già un’altra storia.
Angelica Vignieri