Giornata della Memoria: Giuseppina Panzica, la mamma-coraggio siciliana che aiutò gli ebrei
«Giuseppina Panzica è un esempio di quelle italiane e italiani, il più delle volte persone semplici che ascoltarono il richiamo della coscienza; in particolare, quanto a lei molto religiosa, il comandamento cristiano della carità senza secondi fini. Le pesanti conseguenze, facilmente intuibili, non li distolsero dall’assolvimento di quello che sentivano essere un dovere morale. Essi non furono indifferenti. Fossero stati di più i nostri concittadini così in quei frangenti!», scrive di lei e della sua famiglia la senatrice Liliana Segre, nella prefazione del libro “Sopravvissuta a Ravensbrück”, scritto da Gerardo Severino e Vincenzo Grienti.
Già, perché Giuseppina Panzica, prima di essere una patriota, una partigiana ed una eroina della resistenza nazi-fascista, era una mamma amorevole ed una moglie esemplare, un angelo del focolare domestico, dotato di grande coraggio ed umanità.
La famiglia
Madre del piccolo Ignazio e moglie del finanziere Salvatore Luca, la giovane Giuseppina, nel 1929, si apprestava a salire sul treno che, da Caltanissetta, l’avrebbe portata a Legnano, dove l’attendeva il marito, insieme al quale si sarebbe stabilita a Ponte Chiasso, al confine con la Svizzera.
Giuseppina, però, non sapeva ancora che quel viaggio le avrebbe totalmente cambiato la vita, né che il suo aiuto sarebbe stato fondamentale per salvare la vita di moltissime persone innocenti.
In quel paesino in provincia di Como, infatti, i coniugi Luca andarono ad abitare presso una casetta con giardino, a ridosso del confine italo-svizzero.
Nulla di più sconvolgente per la giovane siciliana, lontana dal sole e dal mare della sua isola. Eppure il cuore di Giuseppina rimane caldo, anche quando l’Italia entra in guerra, nel 1940, durante la Seconda Guerra Mondiale.
I giorni della guerra
Giorni, mesi, anni difficili per gli italiani. Paura e terrore, sconforto e tristezza pervadono la vita di ogni uomo e bambino, nella speranza che il proprio nome non finisca nella lista dei ‘ricercati’, sognando di trovare una via di fuga o un nascondiglio in grado di procurargli la salvezza, aspettando che i tempi siano maturi e che la guerra finisca il più presto possibile.
L’8 settembre 1943, l’Italia è divisa in due: a sud avanzano gli Alleati, dopo lo sbarco in Sicilia del 10 luglio; a nord, invece, si vive di ciò che resta della Repubblica Sociale Italiana del regime mussoliniano, ancora fedeli al Terzo Reich.
Giorni di caos e di tensioni. I tedeschi, pur battendo in ritirata, compiono stragi, razzie, soprusi e rastrellamenti. Chi si rifiuta di restare con gli ex alleati viene imprigionato e deportato nei campi di lavoro. Il 16 ottobre del 1943 centinaia di ebrei, da Roma, vengono deportati nei campi di concentramento.
Intanto, nel Nord Italia, Giuseppina, Salvatore ed i loro 4 figli (tre maschi ed una femmina) non rimangono a guardare. Il cuore caldo dei siciliani, ancora una volta, trova il modo di esprimere tutta la sua sensibilità e solidarietà, aiutando il prossimo.
Una via di fuga
Giuseppina ed il marito lo fanno, prima di tutto, iscrivendosi al “Gruppo Fra.Ma” (acronimo dei cognomi di Ezio Franceschini e Concetto Marchesi, due attivisti dell’epoca) e, poi, collaborando con il finanziere Gavino Tolis e con il maresciallo Paolo Boetti, al fine di nascondere e salvare centinaia di profughi ebrei e perseguitati politici, aiutandoli a fuggire nella vicina Svizzera attraverso il giardino della loro casa.
In pochissimo tempo, l’orto di via Vincenzo Vela n°1 diventa un ponte per la salvezza di centinaia di ebrei, proprio perché permetteva di raggiungere la Svizzera e, quindi, la libertà tanto anelata.
Giuseppina, considerata l’angelo di Ponte Chiasso, era riuscita ad ideare una via di salvezza, creando uno squarcio nel reticolato, una vera e propria rete di confine italo-svizzero, utilizzata anche come punto di smistamento per tutti quei pacchi e quelle lettere che dovevano “uscire dall’Italia”, senza dare troppo nell’occhio, come, ad esempio, importanti documenti destinati ai partigiani.
Bastava sollevare una semplice rete metallica ed il gioco era fatto. Bisognava, però, rimanere nell’anonimato, fare attenzione ed aspettare che si facesse notte, tra la paura e l’attesa, davanti ad un piatto caldo.
Una scelta coraggiosa quella di Giuseppina e del marito Salvatore, fatta nella consapevolezza dei rischi a cui andava incontro tutta la famiglia, ma con la voglia di ribellarsi alle morti ingiuste ed alla guerra.
La famiglia divisa
Intanto, però, nel gennaio del ’44, Salvatore Luca (calzolaio e guardia di finanza in congedo), insieme ai due figli maschi di 14 e 15 anni, è costretto a raggiungere la Germania come lavoratore “volontario”, presso il campo di lavori forzati di Osnabück.
Giuseppina, invece, rimane a Ponte Chiasso con i due figli più piccoli, che l’aiutano a salvare centinaia di innocenti. Ben presto, però, vengono intercettati e scoperti dal controspionaggio tedesco, probabilmente su segnalazione anonima da parte di qualche contrabbandiere della zona oppure di qualche collega finanziere di Tolis e Boetti rimasto fedele alla RSI (Repubblica Sociale Italiana).
L’arresto
Scoperta dalla Milizia confinaria fascista e dalla Guardia Nazionale della Repubblica di Salò, Giuseppina viene arrestata.
Iniziò, così, un nuovo capitolo della sua vita: questa volta, era lei a cercare la libertà, era lei a sperare che qualcuno la salvasse. Giuseppina, infatti, prima fu portata nel carcere comasco di San Donnino, poi, in quello di San Vittore, a Milano. Successivamente, venne trasferita in un lager a Bolzano e, infine, nel campo di concentramento femminile di Ravensbrück.
In questi luoghi, subì innumerevoli violenze e torture, ma la tenacia e la speranza, che l’avevano sempre contraddistinta, furono fondamentali per riuscire a sopportare le atrocità inflitte, tanto da essere una delle poche donne a sopravvivere.
Nel frattempo, i due figli minori (un maschio ed una femmina, di 8 e 11 anni rispettivamente), rimasti soli ed ospitati, per qualche tempo, in due collegi diversi, poterono ricongiungersi, agli inizi del ’45, con il papà e gli altri due fratelli maggiori, che inaspettatamente avevano fatto ritorno dalla Germania.
Il ritorno a casa
Nell’ottobre del 1945, dopo un lungo periodo passato in vari ospedali militari, col pensiero rivolto sempre ai suoi familiari, Giuseppina riuscì finalmente a ricongiungersi con la famiglia.
«Ancora ricordo il momento – ha sempre raccontato Rosaria Luca, figlia di Giuseppina e Salvatore – in cui rividi mia madre, dopo due anni, provata nel corpo e nello spirito, ma viva. Un’emozione fortissima mi assalì e non riuscii a parlare per parecchi minuti, tanta era la commozione nell’averla ritrovata».
Il bene, che Giuseppina aveva donato agli altri, le era tornato indietro, perché, in Germania, era riuscita a salvarsi grazie ad una Kapo slovena, che l’aveva presa in simpatia, proteggendola dai russi e da una quasi sicura fucilazione.
«Mia madre non ha avuto una vita serena – ricorda Rosaria – a tal proposito, ricordo la sua sofferenza quando mio padre, che è morto a 56 anni, andò via di casa, nel tentativo di ricominciare daccapo con un nuovo lavoro nel campo della ristorazione. La mamma, però, lo ha perdonato e gli è sempre rimasta vicina, con un affetto immutato nel tempo».
Il suo pensiero, però, ritornava spesso a quel giardino di via Vela, in cui sapeva bene di aver trascorso i migliori anni della sua vita. Giuseppina Panzica morì, tra le braccia dei suoi cari, a Como, il 15 febbraio del 1976, all’età di 70 anni, a causa di un’emorragia cerebrale.
Medaglia d’Oro al Merito Civile
Il 14 marzo 2018, il Presidente della Repubblica Sergio Mattarella, le ha conferito, in memoria, una Medaglia d’oro al Merito civile, per essere ancora oggi «splendido esempio di straordinario coraggio e di incrollabile fede nel valore della libertà».
Il 27 Gennaio 2022, Caltanissetta, la città natale di Giuseppina, ha voluto rendere omaggio alla sua memoria, rimasta per troppo tempo nell’oblio, apponendo una targa commemorativa sul muro della casa in cui era nata ed intitolandole la strada (precedentemente denominata via Piazza Armerina) in cui la palazzina è ubicata.
Come ha ricordato Papa Francesco, la Giornata Internazionale della Memoria ha come scopo quello di favorire nelle nuove generazioni “la consapevolezza dell’orrore di questa pagina nera della storia”.
L’insegnamento
Oggi, con la sua storia, Giuseppina Panzica ci insegna a non arrenderci davanti alle atrocità della vita e a trovare sempre la forza ed il coraggio di aiutare gli altri, soprattutto coloro che si trovano in difficoltà.
Ci insegna a non chiudere gli occhi, a non girarci dall’altra parte, ma a lottare per il rispetto e la salvaguardia dei diritti umani.
Daniele Fanale