Mons. Giuseppe Vincenzo Ferranti. Era l’uomo di domani
Nato il 2 ottobre 1919, laureato in filosofia e teologia dogmatica, docente presso il seminario di Monreale, Padre Ferranti svolse i primi anni del suo mandato sacerdotale nel paesino di Camporeale, all’estrema periferia di Palermo.
Uomo di grande tenacia, sommamente innamorato della verità, non ebbe mai paura di dire con franchezza quello che pensava a chiunque si trovasse davanti a lui. Negli anni Cinquanta il paese in questione era abitato da diverse famiglie che non gradivano atteggiamenti apertamente votati alla legalità. E forse fu proprio per la sua schiettezza che una scarica di lupara a pallettoni sfondò una sera la finestra della casa canonica, sfiorandolo per miracolo senza colpirlo.
Il trasferimento a Carini
Dopo l’esperienza di Camporeale venne spostato nella sua Carini. Anche qui Padre Ferranti fu un prete di periferia, dedito tutto alla sua parrocchia nel quartiere, oggi estremamente degradato, dei Cappuccini.

Qui venne soprannominato “Patri pampina” a causa dell’andatura leggermente tremolante che una patologia conferiva al suo incedere. Ma a questo proposito lui spiegava, con eleganza e senza prendersela più di tanto, che il motivo di questo soprannome fosse dovuto al fatto che sua madre era una ricamatrice, e che la fogliolina fosse quasi un marchio di fabbrica dei suoi lavori, un “logo” diremmo oggi, e che per traslazione gli fosse stato affibbiato una volta diventato sacerdote.
È singolare che una persona della sua levatura culturale abbia svolto per tutta la vita il proprio mandato in una chiesa ai margini della vita sociale della nostra cittadina. Nelle sue parole, però, non si lesse mai rimpianto, proprio come il «prete in periferia che va avanti nonostante il Vaticano», che Jovanotti esaltava in un brano di quegli anni. Il suo unico credo era svolgere con passione il sacerdozio, senza cercare riconoscimenti di sorta, senza ambire al color porpora, come era solito dire.
Era orgoglioso del gruppo di giovani che seguì per anni la sua direzione spirituale. Dava tutto se stesso nell’organizzazione di momenti di fraternità coi fedeli; dal piccolo palco che volle realizzare nel salone parrocchiale è nata una Associazione culturale tutt’ora attiva: «A.R.C.E.S. Quelli dei Cappuccini».
La catechesi per adulti
Amante dello studio, del sapere teologico in maniera non convenzionale, per anni organizzò delle catechesi per adulti la sera del mercoledì. Durante queste riunioni discuteva testi fondamentali della teologia del suo tempo con estrema chiarezza. Per fare ciò passava le settimane studiando con rigore, quasi dovesse tenere lezioni universitarie, pur di condividere con i suoi parrocchiani, che spesso non arrivavano alla licenza media, le ultime scoperte su temi anche complessi come il rapporto tra scienza e fede a fine millennio.
Le sue omelie erano saldamente ancorate all’attualità: partiva sempre da casi di cronaca e politica per realizzare geniali collegamenti al Vangelo che proclamava. Il giorno in cui si seppe della morte della pornostar Moana Pozzi egli parlò al piccolo gruppetto di anziane devote e a noi giovani del coro di come la Misericordia di Dio possa essere riservata a chiunque, se solo siamo capaci di un pentimento vero anche in extremis.
Era un uomo capace di abbracciare in maniera integrale la sua fede. La coerenza delle sue affermazioni andava oltre ogni banale ipocrisia. Possedeva un’enorme capacità di

essere un fine direttore spirituale: le sue confessioni-fiume facevano slittare in maniera imbarazzante l’orario di inizio della messa, ma per lui ciò non costituiva un problema.
La Croce di Cristo è sempre stata posta davanti a tutto da Padre Ferranti, uomo che ha saputo abbracciare con abbandono mistico quel legno di Speranza ogni giorno della sua esistenza. Amava moltissimo il magnifico e possente crocifisso ligneo della sua chiesa, e ciò in aperta polemica “estetica” con il coevo Padre Badalamenti. Padre Ferranti sosteneva infatti che il suo crocefisso rispecchiasse pienamente, anche a livello antropologico, l’uomo-Cristo, che a trentatré anni era un giovane nel pieno vigore delle sue forze, assai diverso dall’iconografia del simulacro della nostra Madrice.
La messa in latino
Negli anni Novanta istituì la messa in latino, gesto di nicchia che lo fece diventare ancor di più un personaggio fuori dagli schemi, che non andava dietro a un successo “di massa”, non aveva bisogno di grandi adunate di pubblico, ma voleva celebrare ad ogni costo l’autorevole bellezza delle nostre radici liturgiche. E non dimentichiamo che per un periodo non breve si fece assistere nelle celebrazioni da giovani ragazze nelle vesti di chierichette.
Appassionato di tecnologia e computer, fu un pioniere dell’uso dei new media in campo ecclesiastico. Difficilmente i suoi fedeli potranno dimenticare quando acquistò uno dei primi stereo dotati di telecomando, col quale comandava dall’altare i brani di musica gregoriana che coronavano di solenne mistero ogni sua celebrazione.
Oggi, a vent’anni dalla sua morte, possiamo davvero dire che Monsignor Ferranti fu forse un uomo troppo avanti per i suoi tempi.
L’ultima luna, un brano di Lucio Dalla del 1979, parla di tante lune che si susseguono, angeli che bestemmiano e paesaggi apocalittici, ma l’ultima luna: «la vide solo un bimbo appena nato, aveva occhi tondi e neri e fondi, e non piangeva, con grandi ali prese la luna tra le mani e volò via e volò via: era l’uomo di domani».
Ecco come vogliamo ricordare questo eroe di coerenza, fede, passione e coraggio: Padre Ferranti.