22 Ottobre 2024
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Trent’anni dalla Strage di Capaci: quando l’antimafia si veste di ipocrisia

Anche a distanza di trent’anni dalla famigerata Strage di Capaci, la storia ed il valore umano, etico e professionale del giudice Giovanni Falcone ormai sono noti a tutti.

Le foto ed i video dell’epoca ci restituiscono, inoltre, il suo dolce, a tratti amaro, sorriso e quella fulgida luce, spesso velata di malinconia, che gli illuminava gli occhi.

E’ la storia di un uomo profondamente innamorato della sua terra come pochi. “Nec tecum nec sine te vivere possum” (“Non posso vivere né con te né senza di te”) era il verso di Ovidio con cui amava descrivere i sentimenti contrastanti che lo legavano alla sua Sicilia ed alla sua Palermo.

Il luogo da cui Brusca azionò il telecomando

Una sorta di Odi et amo catulliano che ben rappresentava il suo tormento d’amore e la sua fedeltà verso una bellissima ma buttanissima terra che fedele non gli è stata. Una terra di contraddizioni, di luci e di ombre.

Da un lato, il sole, il mare, gli splendidi paesaggi, il calore umano, dall’altro, la mafia, che con ingorda prepotenza divora tutto, creando il deserto intorno e contribuendo alla decadenza dei valori etici e morali della nostra società.

Una Sicilia che da molti anni ha voglia di riscattarsi, alla continua ricerca di una sua identità, libera da etichette e pregiudizi. Tuttavia, per alcuni aspetti, il processo di cambiamento appare lento, perché, purtroppo, ancora per molti, la mentalità mafiosa, la prepotenza, la voglia di prevaricare sugli altri ad ogni costo rappresentano degli inconfondibili segni di riconoscimento.

La missione di Falcone

La missione che Falcone si era scelto nella vita era proprio quella di sconfiggere la mafia, di annientare Cosa Nostra, affermando il potere supremo dello Stato.

E, al fine di onorare questo impegno, non esitò ad accettare consapevolmente il suo ineluttabile destino, in nome di un bene superiore chiamato Giustizia.

L’avvertimento di Tommaso Buscetta

Di fronte all’amara profezia del pentito Tommaso Buscetta «L’avverto, signor giudice. Dopo quest’interrogatorio lei diventerà forse una celebrità, ma la sua vita sarà segnata. Cercheranno di distruggerla fisicamente e professionalmente. Non dimentichi che il conto con Cosa Nostra non si chiuderà mai. E’ sempre del parere di interrogarmi

Falcone non demorde, va avanti a testa alta e con coraggio comincia a scardinare la complessa rete di questa organizzazione criminale, pur cosciente del conto che avrebbe dovuto pagare, pur sapendo che la sua partita con la mafia si sarebbe chiusa solo con la sua morte.

«Non si mettono al mondo orfani» è il suo più grande atto di altruismo. Rinuncia alla sua vita in tutti i sensi, presagendone la fine.

L’isolamento di Falcone

Giovanni Falcone, però, ad un certo punto, si ritrova solo in una lotta ad armi impari. Lo Stato, a favore del quale si stava prodigando, sembra quasi essersi dimenticato di lui. Anzi, in alcuni casi, osteggia il suo operato. Idem la magistratura.

Gli rimane solo il supporto della sua famiglia e l’appoggio di pochi colleghi, in primis quello del suo fedele e fraterno amico Paolo Borsellino, che pagherà, qualche mese dopo, con la vita la scelta di essere il suo naturale successore.

Falcone oggi

Oggi, in occasione delle commemorazioni per il trentesimo anniversario della morte di Giovanni Falcone, della moglie Francesca Morvillo e degli uomini della scorta, quegli stessi individui che aspramente lo criticarono e lo isolarono li ritroviamo seduti ipocritamente in prima fila o davanti ad una telecamera o ad un microfono per incensarlo, pronti a cavalcare l’onda di popolarità che deriva dalle memorabili gesta di un eroe solo e coraggioso, simbolo della legalità e della lotta alla mafia.

Al giorno d’oggi, per molti, soprattutto politici, l’antimafia rappresenta un’ottima vetrina per autopromuoversi ed avere visibilità, un importante palcoscenico su cui esibirsi per sfoderare le innate doti da teatranti, alla ricerca di un’intervista o di un trafiletto sul giornale.

Lo spettacolo dell’antimafia

Perché, diciamoci la verità, oggigiorno fa comodo esibirsi nello “spettacolo” dell’antimafia.

Un tempo, nel periodo stragista, si moriva, adesso, invece, molti politici, soprattutto quelli in fase di restyling, ritornano a nuova vita, “resuscitando” la propria immagine pubblica deturpata, ed i mafiosi stessi sono i primi a cavalcarne l’onda per potere agire indisturbati, imbiancando il grigiore dei loro sepolcri.

Ma davvero crediamo che l’ipocrisia dell’antimafia sia solo appannaggio di queste persone?

Prima di innalzare gli stendardi dell’antimafia, conviene farsi un bell’esame di coscienza e chiedersi cosa facciamo noi concretamente, nel quotidiano, per opporci alle logiche mafiose imperanti nella nostra società.

Prima di condividere sui social foto e frasi di Falcone e Borsellino, di dare “lezioni” di legalità, di fare proclami sulla lotta antimafia, di puntare il dito contro le brutture della società in cui viviamo, fingendo rabbia ed indignazione per qualunque cosa, occorre togliersi due maschere: quella dell’ipocrisia e quella dell’incoerenza.

Non servono i post sui social, le parate, i cortei, il presenzialismo alle cerimonie di commemorazione, se, poi, la mafia si combatte solo a parole e si lascia prosperare indirettamente, girandosi dall’altra parte e fingendo di non sapere.

La scelta di non parlare, di non denunciare, di far finta che tutto vada bene (forse perché ci fa anche un po’comodo) ci porta a vivere nel silenzio di una società che si nasconde dietro finti perbenismi e moralismi, sotterrando la testa sotto la sabbia come gli struzzi.

Roberto Lipari rinnova il messaggio

La lotta alla mafia è uno stile di vita

La lotta alla mafia è uno stile di vita, ha bisogno di fatti concreti, di rigore e dirittura morale, di intolleranza nei confronti della benché minima forma di compromesso o corruzione, senza “se” e senza “ma”.

Bisogna compiere delle scelte, a volte anche difficili, per dimostrare l’estraneità al sistema mafia e per affrancarsi da una mentalità mafiosa. Che poi mafia e mentalità mafiosa sono due facce della stessa medaglia: la prima si nutre e vive della seconda così come un tumore si accresce a spese delle cellule vicine, ammorbandole, fino a distruggerle.

Così tutte le volte che noi stiamo zitti, tutte le volte in cui non ci ribelliamo alla seppur minima espressione di mentalità mafiosa che ci sfiora da vicino, allora anche noi abbiamo contribuito a nutrire ed accrescere questa massa cancerosa chiamata mafia.

Ci professiamo paladini dell’antimafia e poi ricerchiamo favoritismi e raccomandazioni, cercando di scavalcare gli altri per un egoistico tornaconto personale.

Ci proclamiamo paladini della legalità e poi siamo succubi di una politica clientelare che ci ricatta col voto di scambio, anche per farci ottenere ciò che ci spetta di diritto (una concessione edilizia, un’abitabilità, buoni spesa, un qualsiasi servizio pubblico, ecc.).

E non sono gli altri che ci propongono il beneficio i soli responsabili, ma siamo noi che accettiamo il compromesso ad esserne vittime e complici allo stesso tempo.

No, questa non è Antimafia! Questi non sono gli insegnamenti che ci hanno lasciato Giovanni Falcone e Paolo Borsellino!

I benefattori…

Teniamo lontani dalle nostre vite i cosiddetti “benefattori”, coloro i quali ci fanno credere di esserci “amici” e di concederci privilegi disinteressati. I “sogni” ed i “favori” che ci regalano, in un modo o nell’altro, hanno un prezzo che, prima o poi, va pagato sempre. La dignità, invece, non ha prezzo, per chi la possiede e la onora.

Dimostriamo di essere ciò che predichiamo, di dare coerenza alle nostre parole con le azioni, di dare prova del nostro tanto decantato coraggio. Squarciamo tutti i muri insormontabili dell’omertà dietro cui si è sempre trincerata ogni forma di mafia. Facciamo sì che Giovanni Falcone e Paolo Borsellino non siano solo delle icone da commemorare una volta l’anno. Sono stati traditi da vivi. Non tradiamoli anche da morti.

«Due sono i tipi di mafia: la mafia e la mafia dell’antimafia […] La mafia, specie se sotto i riflettori della denuncia, cresce in mitologia. La mafia, poi, nutrita d’antimafia giganteggia per negazione restituendo a certi professionisti l’agio sociale di un’invincibilità etica che riduce tutto a protocollo».

Daniele Fanale

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